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Libro del mese – Settembre 2018 – INFERMIERI

25 Settembre 2018

Con la prefazione del presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, e con l’intervento dell’assessore regionale alla Sanità, Stefania Saccardi, Infermieri pubblicato da Pacini Editore con la produzione della Fondazione Arpa, documenta “con la forza delle immagini il lavoro quotidiano dell’infermiere nella sua autonomia professionale”. L’indispensabile e silenzioso universo degli infermieri viene difatti raccontato in questa pubblicazione attraverso le fotografie scattate da Enzo Cei in un reportage che prende le mosse dall’esperienza di Trapianti, iniziata dieci anni fa con la Fondazione Arpa, fra corsie di ospedali, sale operatorie e malati pieni di speranza. Il volume, che sarà presentato il 30 settembre nell’ambito del Festival Internazionale della Robotica, nella giornata dedicata al ruolo dell’infermiere nella gestione delle tecnologie,è stato curato dal professore Franco Mosca, presidente della Fondazione Arpa, direttore del Festival, Professore Emerito di Chirurgia Generale dell’Università di Pisa.

Professor Mosca, perché un libro dedicato al lavoro degli infermieri?

L’idea iniziale di questo documento fotografico nasce dalla profonda ammirazione e gratitudine per i 48 infermieri che, nel 1986, scelsero di unirsi al nostro gruppo chirurgico appena costituito, certi di lasciare la Clinica Chirurgica dell’Università di Pisa, che insieme avevamo ammodernato, per ricominciare daccapo nella vicina Patologia Chirurgica, struttura molto scomoda, infelice e tutta da organizzare. A loro va la mia dedica particolare. Persone straordinarie con cui è stato gratificante condividere motivazioni umane e sociali, obiettivi importanti, soddisfazioni, delusioni e amarezze.

Questo racconto per immagini non è soltanto un viaggio entro una professione, ma anche una esperienza emotiva…

Il prendersi cura della persona da parte dell’infermiere è colto dallo scatto fotografico attraverso volti,mani,gesti,sorrisi,pianti con asciutta naturalezza e con attenzione a ridurre ogni parte accessoria della rappresentazione. Nella progettazione ho rivisitato non solo il mondo degli infermieri per come l’ho conosciuto attraverso più di mezzo secolo di attività chirurgica, ma anche, inevitabilmente,quello dei medici e dei pazienti.

Oggi la professione degli infermieri ha compiuto un notevole salto di qualità…

È interessante riflettere su come eravamo. Tutti in grave ritardo culturale e quindi organizzativo,rispetto aipaesi più evoluti. Di fatto con l’infermiere in posizione subalterna e del tutto ancillare non solo nel contesto lavorativo, ma anche agli occhi della società. Eppurefin da allora era chiaro che il ruolo dell’infermiere doveva essere complementare a quello del medico. I miei primi maestri sul campo sono stati proprio gli infermieri. Da studente di Medicina ho imparato dalle “Diplomate-Capo Sala” ad effettuare prelievi di sangue. Dalle “ferriste” ho imparato,da specializzando,l’allestimento del tavolo dei “ferri chirurgici”, ad assistere l’operatore,ad organizzare e gestire la Sala Operatoria, il rispetto delle modeste risorse materiali allora disponibili: etica del buon uso di un bene comune. Giovanissimo medico ho vissuto esperienze umane, toccanti e formative accanto agli infermieri, nel prodigarci insieme con pochi mezzi e poche conoscenze, in mancanza di terapie intensive,ad assistere i malati gravi.

E oggi?

I giovani che scelgono la professione di infermiere sono oggi, sempre di più, persone speciali. Consapevoli che li aspetterà un lavoro non solo sicuro e stabile ed oggi apprezzato e ricercato, ma anche scomodo e faticoso. Orari festivi e turni notturni e, dunque, sacrifici personali e familiari. Chi si avvicina a questa professione sa di dover prendersi rischi e grandi responsabilità ma è altrettanto consapevole che tutto è ben affrontabile con la formazione e che lo studio gli conferirà identità e riconoscimento. È difficile nel nostro Paese trovare molti altri settori delle professioni sanitarie, ma non solo, che abbiano avuto un radicale e diffuso cambiamento culturale e quindi tecnico-organizzativo in un tempo relativamente breve.

 

Quattro anni trascorsi e di ospedali e sale operatorie, a stretto contatto con malati e le loro famiglie, infermieri, medici. Una presenza costante e discreta, con la sua attrezzatura fotografica mai invadente, e una empatia che nasce dal conoscere il dolore, la malattia, la speranza e il coraggio di lottare. Enzo Cei, autore di questo libro, è fotografo e scrittore; è anche autore di romanzi e ora impegnato nel progetto“I figli di Chernobyl – Il male a 32 anni dal disastro”.

 

Cei, da cosa ha origine la sua particolare sensibilità sul tema della malattia?

Da vicende persona li che racconto nell’autobiografia Ai piedi dei miei anni. Attraverso i miei scatti voglio documentare istanti e contorni di storie persona li che hanno un valore universale, per sensibilizzare gli altri.

 

“Infermieri”può essere considerata la seconda puntata di “Trapianti”?

In un certo senso sì, visto che da quella esperienza si è creato un rapporto di fiducia completo con il professor Mosca. Egli mi disse: “in Italia esistono 460 mila infermieri e io sento un debito profondo per questa categoria professionale che affiancano i chirurghi e professionisti della sanità con dedizione e sempre dietro i riflettori”. E aggiunse: “vorrei che con la tua sensibilità documentassi il lavoro di questi professionisti”.

 

E così è iniziata questa nuova avventura. In che modo ha lavorato?

Per quattro anni ho mantenuto costante la mia presenza in tutte le specialità mediche nelle quali gli infermieri prestano la loro opera quotidiana: dall’Oncologia a Senologia, dalla Rianimazione fino ai controlli medici per la prima accoglienza ai migranti. L’unico modo per giustificare la mia presenza in questi luoghi è ottenere rappresentazioni figurative che dal punto di vista etico e morale soddisfino le mie esigenze di uomo e rispettino la dignità dei soggetti.

 

A un fotografo occorrono una grande sensibilità e un insieme di accortezze e di delicatezze. Questo vale anche per gli infermieri, no?

Direi di sì. Come un fotografo che sta dietro l’obiettivo e non appare, ma comunica attraverso i propri scatti, così gli infermieri sono spesso dietro la presenza del medico. Sappiamo bene, però, che quando una persona è ricoverata perde il suo contatto con il mondo e con i suoi punti di riferimento, compresa la perdita dell’identità e degli affetti. Ecco, l’infermiere sopperisce a questa mancanza emotiva prima ancora della somministrazione di terapie o dell’assecondare esigenze materiali. Gli infermieri accolgono le persone espropriate dei propri punti di riferimento e le aiutano nel percorso della malattia e della guarigione. L’infermiere è un trait d’union fra paziente, medico e famiglia.

 

Attese, speranze, sofferenza è difficile penetrare questo mondo tanto intimo?

Per realizzare questo lavoro, ho trascorso lunghi periodi in reparti come la Rianimazione e il Pronto Soccorso. Non sempre avevo la macchina fotografica in mano, perché la fiducia di familiari, degenti e personale medico va conquistata piano piano. Quando capisci che la tua presenza non è più estranea e inizi a sentirti accolto, allora puoi fare quel passo in più che ti porta a ricevere fiducia dalle persone che con piacere danno il loro volto e il loro consenso  all’utilizzo delle immagini.

 

“infermieri” è stata una esperienza professionale ma anche umanizzante?

È quello che cerco. Solo così il mio lavoro può avere un senso.

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