L’infermità mentale

Tra esigenze terapeutiche, tutela delle persone e principi di garanzia

Da un progetto ideato e condiviso con Barbara Capovani
Testi di Alessio Bottaini, Alberto Gargani, Angela Giovinazzo, Fabio Pelosi

Ebook.epub

Informazioni tecniche

ISBN
EBOOK: 978-88-3379-740-3
Caratteristiche
2024 • 17x24 cm • 192 pagine • SOLO EBOOK GRATUITO
Collana

Descrizione

«[…] Nell’affrontare il tema dell’infermità mentale quale causa di esclusione o riduzione della capacità di intendere e di volere, occorre, anzitutto, soffermarsi sulla collocazione sistematica dell’imputabilità.

Come è noto, è da tempo superata la tesi – rispecchiata dalla collocazione codicistica – dell’imputabilità quale status soggettivo necessario affinchè un soggetto sia assoggettabile a pena: oggi, infatti, è largamente condivisa la tesi secondo cui l’accertamento di tale condizione debba considerarsi il presupposto della colpevolezza in senso normativo, ossia la precondizione per la rimproverabilità del fatto tipico e antigiuridico.

In tale prospettiva, l’imputabilità esprime, infatti, la motivabilità del soggetto da parte della norma penale: come già osservato da F. Carrara nel Programma del Corso di diritto criminale, la pazzia “è un ambito morboso che togliendo all’uomo la facoltà di conoscere i veri rapporti delle sue azioni con la legge, lo ha portato a violarla senza coscienza di violarla”…»

Alberto Gargani

 

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«[…] Il problema dell’infermità mentale non può essere impostato in modo binario come un’alternativa tra esigenze securitarie e libertà di cura, essendo semplicistico ridurre il paradigma della malattia mentale a una scelta tra libertà di cura del soggetto e sicurezza degli altri consociati.

La prospettiva cui dovremmo tendere è che la “cura” corrisponde alla “sicurezza”: il pericolo non sta nelle persone malate o nella malattia delle persone, ma nell’abbandono delle stesse (e delle loro famiglie) alla loro condizione.

Affidare solo alle famiglie la soluzione del controllo è certamente meno oneroso nell’immediato, ma rischia di accrescere il senso di isolamento e deresponsabilizzare di tutti gli altri agenti interessati, come gli assistenti sociali, i medici, le forze di polizia, ovvero i soggetti di primo intervento.

Né è possibile trincerarsi dietro l’argomento della sovranità decisionale del singolo individuo, come bene giuridico da rispettare “sempre e comunque”, fino a diventare la “giustificazione per l’abbandono del sofferente riottoso”: è proprio l’assenza di capacità decisionale che connota la fragilità di queste soggetti e impone un tempestivo intervento.

Né è possibile lasciare tutto nelle mani dell’amministratore di sostegno o di soggetti accidentalmente interessati, senza che trovino alcuna possibilità di confronto.

Né imporre autoritativamente decisioni che possono essere vissute come catene dai soggetti da tutelare.

Poiché l’abbandono è pericoloso e la cura è sicurezza (potrei dire “salvezza”), occorre trovare nuove strade per attivare un soggetto, istituzionalmente destinato, che si faccia carico di queste situazioni prima che sia “troppo tardi” e degenerino in fatti gravi, e attivi, nel contraddittorio tra le parti, un percorso che possa portare ad una soluzione, sia essa giudiziaria o meno.

Mi permetto di suggerire – sommessamente – che questa figura esiste già nel nostro ordinamento e si chiama Pubblico Ministero.»

Fabio Pelosi

 

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